Un nuovo tipo di giornalismo è possibile. www.ilsegnonews.it

domenica 29 luglio 2012

Cartelli stradali: le prostitute dei giorni nostri

 Piegati. Utili. Meno utili. Deliranti. Istituzionali o dal basso. Ecco alcuni cartelli stradali. E così si scopre che esiste un comune dal nome Femminamorta, che esistono due direzioni che portano esattamente nello stesso luogo, che è vietato condurre i cani. Non condurre biciclette o moto. Bensì cani. A tal proposito ricordate di far loro tagliando e bollino blu. Cartelli forse pazzi, fuorvianti ma estremamente veri e attuali. Ogni giorno ci si imbatte nella cartellonista stradale. Ogni giorno si fanno nuove scoperte, nuovi ritrovamenti. Il cartellone stradale punta la sua efficacia sul messaggio. Questo deve essere intuitivo, diretto, chiaro. O meglio, dovrebbe essere così. Vietato sbagliare. Divieto di fraintendimento. Ma questo articolo non vuole essere uno sguardo semiotico alla cartellonistica stradale. Eco non si offenda. Però occorre ricordare come il segno sia estremamente importante in quanto rimanda a qualcos'altro. Il messaggio e la sua efficacia sono vincolati dal segno. Da qui non si scappa. E se si pensa che i cartelloni stradali, almeno quelli istituzionali, sono frutto di mesi, se non anni, di consulte, delibere, proposte in comune si pretende che siano chiari. I cartelli stradali sono delle prostitute. Vengono usati, passano di scrivania in scrivania, e poi tornano in strada. Stanno sotto l'acqua, la neve il sole. Non vanno mai in vacanza. E non sono gratis, hanno dei costi. Mica da ridere. Ma quando le istituzioni perdono colpi, quando i cartelli stradali sembrano trattati di filosofia dove l'interpretazione e l'immaginazione non bastano, ci pensano i cittadini. L'allievo supera il maestro. E così assistiamo a cartelli chiari, diretti, intuitivi. Merito della spontaneità e della genuinità di chi li ha scritti. Magari c'è qualche errore di grammatica ma almeno sono comprensibili. Un minimo scotto da pagare c'è. Vietato vietare.






sabato 21 luglio 2012

Piastrine militari. Dentro o fuori dalla massa?


La teoria classica del giornalismo vuole che il vero reporter sia in possesso del fiuto della notizia. Il suo occhio vigile gli permette di cogliere un fatto, apparentemente insignificante, e trasformarlo in un evento nazionale. Certo, lo status professionale permette al giornalista di persuadere l'opinione pubblica. "Se lo dice lui, se lo scrivono sul giornale, sarà sicuramente importante". Chiaramente noi non abbiamo alcuna intenzione di viziare le menti dei nostri lettori. Lungi da noi, maledetta tentazione! Però permetteteci di allenare il nostro sguardo e, se possibile, di offrirvi qualche spunto in più di riflessione.
La "notizia del giorno" riguarda una di quelle macchine per fare le piastrine militari (foto). Nella stazione ferroviaria di Genova piazza Principe – e credo in altre stazioni e centri commerciali italiani – è presente, proprio nell'atrio del tabellone con gli orari dei treni. Per solo 3 euro si ottiene una bellissima military plates. Nella parte inferiore della macchina c'è il messaggio che, in teoria, dovrebbe convincere gli aspiranti clienti ad acquistarne una: "Esci dalla massa....personalizzati!". Per coloro che non fossero ancora convinti, si aggiunge: "Con le fantastiche medaglie di riconoscimento". Non entriamo nel merito delle logiche pubblicitarie. Bisogna vendere e questo è tutto. Non si vuole nemmeno convincere i lettori a non comprare questo prodotto. Non ci guadagneremmo niente e non rientrerebbe negli scopi di Carta di identi-libertà. Però una considerazione non offenderà nessuno, si spera.
Queste piastrine militari, come logico che sia, sono utilizzate negli eserciti di tutto il mondo. L'esercito è la massima espressione dell'annullamento della soggettività. L'individuo abbandona il suo corpo e il suo spirito per diventare parte del tutto. La massa è quel complesso di persone per cui l'individuo non ha alcun valore, perché sostituibile in tutto con un altro. È chiaro che l'esercito è il punto più alto di questa visione. Non è altro che massa allo stato puro. Mobilitazione perenne. Basti pensare alle marce delle forze armate dei sistemi totalitari. Non si riconosce nessuno, solo un gruppo indefinito di individui. Se qualcuno cade, non c'è problema: viene sostituito con un altro e nessuno si accorge delle differenze.
Detto questo, risulta complicato seguire il suggerimento del messaggio promozionale della macchina sforna piastrine. "Esci dalla massa" è un suggerimento interessante, ma proposto col mezzo sbagliato. Per non parlare del "personalizzati". Abbiamo bisogno di placchette con scritto i nostri dati? Siamo diventati degli animali, dei cani? Se ci perdiamo, grazie alla military plates, verremo riaccompagnati a casa? Quanti sforzi, quanti futili tentativi per evidenziare la nostra unicità. Ma la contraddizione di fondo è sempre la stessa. Apparire anziché essere. Dimostrare agli altri ciò che siamo, o che vorremmo essere, e non coltivare davvero i nostri pregi e apprezzare tutto quello che abbiamo da dare.
Vedete come è stato semplice. Basta un apparecchio in una stazione per ragionare. Forse anche meno.

domenica 15 luglio 2012

Vento rock dalle Langhe

Metti un sabato di luglio, giallo e vibrante. Metti tante persone, soprattutto ragazzi in un piccolo borgo delle Langhe. Metti una serie di nomi in cartellone da capogiro: da Don Gallo alla Littizzetto, da Ammaniti a Verdone, da Zucchero a Vinicio Capossela, dai Subsonica a Moni Ovadia, da Lella Costa ed Ezio Mauro, da Mario Calabresi a Philippe Daverio. E poi mettici dentro la musica internazionale: da Boy George alla Signora ed il Signore del Rock: Patti Smith e Bob Dylan. Mettici tutto questo, tanta cucina sincera e generosa, un vino rosso da invidia e degli abitanti che sono felici di vederti, ti tengono i sacchetti in custodia, ti fanno passare per una band – che è un po’ quello che in fondo avevi sempre sognato – facendoti parcheggiare comodo comodo, in cambio di un passaggio, si affacciano alla finestra per darti la carica, con un sorriso che non sente tutte le 80 e passa primavere che ha e col pugno alzato mentre l’altra mano, la destra, sventola l’Unità.
Ecco metti tutto questo, dal mattino all’alba. E poi mettitici tu. Barolo. Collisioni Festival.
C’è caldo, c’è caos, c’è gioia, c’è tutto il colore e l’energia di cui hai bisogno. Bimbi con le facce dipinte, tu che pensi: “ cavolo, la voglio anch’io!” – Cantine aperte ad ogni angolo. Punti incontro in ogni piazzetta: ti fai largo a fatica davanti ad un’ emozionata Patti Smith che si da ai reading nell’affollatissimo pomeriggio. La verità però la senti sulla pelle, e negli occhi di tutti quelli con te: Patti stasera canta. Siamo tutti lì per lei, due ore dopo! Nel mentre scopri che c’è uno dei musei più geniali d’Italia: il museo del vino. Grazie ai Marchesi Falletti per il Castello che ci hanno lasciato, grazie a François Confino, per il suo allestimento a dir poco meraviglioso. Con le suggestioni rubine del Barolo doc, le degustazioni ad ogni respiro e la chitarra o la voce del gruppo locale o meno che accompagna ogni tuo passo, improvvisamente senti salire l’adrenalina. Nel lento scorrere di una giornata intensa e mai ferma ma immersa nel rilassante godimento, mattone per mattone, parola per parola, ad un certo punto sale l’agitazione da attesa, da “concerto-che-non-vedi-l’ora-che-cominci” e ti butti alla caccia del tuo veloce pasto, perché ti aspetta la Piazza Rossa.
Mentre scendi la strada che ti ci porterà, t’imbatti nello stand che meglio rappresenta quella leggera sensazione di collisione che avverti dopo sette ore di energica vitalità, “siamo alla frutta”: bicchieri di anguria e pesche.
Arrivi sul ciglio della piazza: suona Vinicio. Seduti a bere Barolo e mangiare frutta. Poi il ballo di San Vito: tutti in piedi a cantare. E poi. Beh, poi arriva il momento: Patti al microfono! Coi suoi capelli al vento, la sua giacca da uomo scura, le sue mani e le sue gambe che nervose tengono il tempo mentre canta: la sua voce anni ’70, la sua forza, nelle luci rosse, che picchiano su di lei, sul castello, su di noi. Ed infine, people have the power . Liberatorio. Tutti a cantare, tutti a ballare, tutti a saltare!
Don’t forget it!” – dice lei. “The answer is blowin' in the wind” – dirà lui due sere dopo, con la sua voce calda del Minnesota.
Il vento è arrivato, e non lo dimenticheremo. – diciamo noi, che siamo qui.
Ciao Patti, ciao Bob, ciao Barolo.

(Cvd, Cassandra Voleva Dire)

sabato 7 luglio 2012

La tv cambia canale: basta con gli extracomunitari


Bisogna ammettere che guardare la televisione italiana è davvero difficile. Lo si può anche fare, ci mancherebbe. D'altronde la noia e la pigrizia giocano brutti scherzi alle nostre menti. Personaggi spiattellati in televisione alla mercé di chiunque, storie strappalacrime, racconti falsi, eroi di quartiere, crimini efferati, amori impossibili, gossip da quattro soldi e chi più ne ha più ne metta. La cosa divertente è che tutte queste novelle non sono spalmate sul palinsesto di ogni singola emittente, ma basta uno solo show: il telegiornale. Quale miglior modo di informarsi se non quello di mettersi a tavola la sera e guardare tutto quello che accade sul nostro pianeta. Ma proprio tutto. Non c'è nulla che sfugga all'occhio vigile del Grande Fratello, inteso in senso orwelliano – che la Endemol non me ne voglia. Se c'è qualche questione da prendere in considerazione, possiamo star pur certi che il tiggì se ne occuperà. E se il male verrà eliminato, non ci sarà più bisogno di parlarne.
Date queste premesse mi sembra ovvia una cosa: gli extracomunitari non sono più un problema per il nostro paese. Certo, gli italiani hanno tanti dilemmi a cui pensare al momento. Evidentemente solo qualche mese fa erano più disponibili, sii giravano i pollici tutto il giorno. Ora che c'è questa dannata crisi, chi ha voglia di pensare a tutta quella gente che arriva col barcone. Ammetto che l'articolo si sta sviluppando su un sarcasmo troppo evidente, quindi andrò al sodo. Non si parla più del problema immigrazione – vi ricordate l'espressione "esodo biblico"? – perché questa paura è stata soppiantata da un'altra più attuale e, a mio avviso, più concreta. Qualche mese fa, dato che la crisi non aveva ancora sprigionato tutta la sua reale potenza distruttiva, grazie anche all'occultamento del precedente governo Berlusconi, bisognava tenere in allerta la popolazione con pericoli di qualsiasi natura. Persino un bambino avrebbe intuito che la soluzione sarebbe stata quella di lanciare solo servizi in cui stranieri di tutte le nazionalità – con una preferenza per quelli dell'est Europa -; i campi rom, gli zingari nei parchi, gente sbronza che non parla italiano sono immagini suscettibili. È troppo facile.
Questo ricade inevitabilmente nei discorsi quotidiani. Ormai nei mezzi pubblici non si sente più parlare della questione immigrazione. Per non parlare dei social network. Se ne trovano di tutti i colori: per esempio mi ha colpito una persona su Facebook che, alla notizia dell'imminente esodo di libici dopo i fatti della primavera araba, scrisse testuali parole: «Stupri e violenze saranno all'ordine del giorno». Ora, mi sembra accertato che per "ordine del giorno" intendesse ciò che il tiggì manda in onda all'edizione delle 20. Non si vuole mettere in dubbio l'autenticità delle notizie, ma l'uso incondizionato è davvero deplorevole. Non si vogliono nascondere i problemi e non si vuole sminuirne l'entità. Ma una tale diffusione di informazione produce un vizio irreparabile agli individui: l'incapacità di pensare con la propria testa. Dal fatto che i tiggì non parlino più degli extracomunitari, bisognerebbe dedurre che siano scomparsi, che i barconi siano affondati e che per loro le porte si siano completamente chiuse. In tal senso allora, per gli xenofobi in particolare, dovrebbe essere un punto a favore del premier Monti. Non vi illudete, non è così.
La nostra persona – anima, spirito, chiamatela come volete – è l'unica cosa che ci appartiene veramente. Non vale la pena ripetere, come un pappagallo, tutto quello che viene riprodotto da una scatola. Non si deve criticare una questione solo perché lo fa il grande esperto di turno o una persona molto simpatica. Non bisogna illudersi che un problema non esista perché la televisione non ne parla. La crisi finanziaria ha sostituito il problema immigrazione per il semplice fatto che non si può convivere con due angoscie contemporaneamente. Da una situazione di paura si passerebbe a una di terrore. Ma stiamo tranquilli. Appena questa crisi finirà – e speriamo al più presto – stiamo pur certi che Essi torneranno.

giovedì 5 luglio 2012

Ricordi di mafia: sbiaditi ma non troppo...

E fu così che piansi per la prima volta davanti alla tv, per uno sconosciuto.
Luglio, 1992, ero in Sicilia. Un caldo infernale, ma nei miei 7 anni e mezzo - perché già allora mi piaceva puntualizzare - quello che mi ricordo meglio, oltre a un calamaro gigante sulla spiaggia ed il sole rosso nel cielo nero, è quella scena in quel salotto, di quella bellissima casa a due metri dal mare. Non ho memoria del prima e del dopo, so solo che a un certo punto fu silenzio. I miei, i miei nonni, gli amici di famiglia incominciarono a mettersi le mani sulla faccia, ad imprecare, a piangere, ad affollarsi davanti a me. Tutti guardando con gli occhi sgranati la tv. So di non aver capito allora il perché: ma per cinque minuti buoni piansi anch’io. Per lo sconquasso, per quell’aria così agitata che si respirava e perché se evidentemente la morte di quel Paolo Borsellino portava così tanta tristezza in casa mia, era chiaro: doveva trattarsi di qualcuno molto amato, un parente, o un quasi parente o comunque qualcosa del genere. Ancora adesso, che conosco il perché di tutto quel trambusto, in fondo, continuo a pensarla così.


Ed è per questo che ogni volta sento di dover esser presente a una qualsiasi rappresentazione, presentazione, proiezione di documenti, incontri, film che si occupino delle mafie, della loro violenza, del loro potere e di tutti i morti ed il dolore che hanno lasciato sui bordi delle strade, nelle case in questi anni.


Ecco. Ieri sera fa parte di una di quelle volte.


Villa Bombrini, bellissima come sempre. Tanti ragazzi, per lo più di Libera. E tante zanzare. E poi: Libero Cinema. In occasione della rassegna di cinema itinerante "Libero Cinema in Libera Terra", promossa come ogni anno da Cinemovel Foundation in collaborazione con Libera a Genova arriva: Uomini soli, un film di Attilio Borzoni e P. Santolini. Un film documentario che ripercorre le strade dove furono ammazzati Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sulle gambe allenate di Attilio Bolzoni, appunto, che inviato di Repubblica, racconta gli anni delle stragi, trent'anni dopo.


Tra i primi volti che vediamo c’è quello segnato e stanco di una fotografa: “io non ero una fotoreporter di guerra, non ero partita, ero rimasta qui a Palermo, e la guerra ce l’avevo sotto casa, ogni giorno”. I giornali all’epoca titolavano: “la città mattatoio: Palermo come Beirut”.


Si sbagliavano Palermo era peggio di Beirut.


Mentre scorrono le immagini, i racconti si riesce quasi a sentire quell’odore acre di bruciato, quel fumo denso delle bombe. Lacrimano gli occhi.


Ad un certo punto parla Giuseppe Costanza, l’unico sopravvissuto alla strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il giornalista gli chiede: “come stai? “– e lui risponde: “sai quando mi hai chiamato e mi hai detto di vederci dall’albero di Falcone , quell’albero cresciuto davanti alla casa del giudice, che ormai è un simbolo della lotta per la legalità e dove chiunque si ferma e lascia fiori, messaggi, lacrime, ho pensato, che non ne avevo tanta voglia, e che avrei voluto dirti di no, perché fa ancora troppo male.”


Ed è vero. Fa proprio ancora troppo male. Bolzoni, mentre si muove tra un angolo e l’altro di Palermo, e incontra le lapidi, le targhe, le mogli, le madri degli agenti della scorta, i magistrati del maxiprocesso, il medico legale che, amico del pull antimafia, ebbe l’ingrato compito di eseguire l’autopsia sui corpi di Giovanni, Paolo, Rocco, Antonio, Vito, Agostino, Emanuela, Vincenzo, Walter Eddie e Claudio, ad un certo punto ci dice perché fa ancora così male: perché dopo trent’anni stiamo ancora aspettando di sapere la verità.


C’è la moglie di Montinaro: “hanno ucciso Antonio, ma non me ed i miei figli. E da qui non me ne vado, perché si ricordino di quello che è stato, anche senza ch’io debba aprir bocca".


Il coraggio. E per avere coraggio, come diceva Montinaro appunto, bisogna avere paura, altrimenti si è solo dei vigliacchi.


La pellicola va avanti, non si ferma più. E non riesci a pensare, continui ad ascoltare, cose che già sapevi, altre che pensavi di sapere, ed invece... Ti sale una strana tensione alla bocca dello stomaco, non riesci a trattenerla, eppure te la sei raccontata anche questa volta: “calma e sangue freddo, si guarda, si ascolta, ci si informa e via!”. Ma non va così. Torna quel malessere, omnipresente: il dolore del parente morto, appunto. E la rabbia. Tanta.


Tra le ultime voci che ci raccontano quegli anni c’è quella del padre di Nino Agostino: poliziotto ammazzato, con la moglie incinta, il 5 agosto del 1989. Antonino Agostino stava indagando sul fallito attentato dell'Addaura a Giovanni Falcone. Ancora oggi non si conoscono i nomi degli esecutori, ne dei mandanti di quell’agguato. Vincenzo, suo padre, ci dice che non se la taglierà quella lunga e vaporosa barba bianca. Non se la taglierà finché non verrà fatta giustizia.


E questo è quello che mi auguro anch’io, con tutto il cuore. In queste ultime settimane è tornata sui giornali la notizia delle indagini sulla trattativa stato-mafia, le implicazioni di politici, organi dello stato. Ecco: non smettiamo mai di chiedere che venga fatta chiarezza, che ci venga restituita, almeno, la verità e che i colpevoli, tutti, paghino.


A Palermo, ed in tutta Italia, il conto è già stato fatto: in ultimo a Genova, il 17 marzo per la manifestazione di Libera: 824 sono le vittime di mafia dal 1983 ad oggi.


Come a dire: sopravvissuti pochi, morti parecchi.


Continuiamo a parlarne, a tenera alta la guardia, perché la mafia uccide sempre gli uomini che lo stato lascia soli.

Uomini soli, appunto.

Mai più.

 
(Elisa Leveratto)

lunedì 2 luglio 2012

La Chiesa cattolica: sia lodato il porno!


La pietra dello scandalo si chiama Weltbild. O forse è la stessa Chiesa cattolica. Ma andiamo con ordine. Weltbild è la più grossa casa editrice tedesca. Distribuisce libri, dischi, film. Fin qui niente di strano. Distribuisce romanzi erotici e controlla per un terzo un portale dove vengono venduti Dvd pornografici. Restando ancorati ai libri, ben 2500 titoli tra i libri venduti dalla casa editrice presentano contenuti erotici. Ma anche questa è una libera scelta dettata dal mercato. Veniamo al dunque. Tenetevi forte. Weltbild è posseduta al 100% dalla Chiesa cattolica tedesca. Non ridete. Ve lo riscrivo. Weltbild è proprietà della Chiesa. Il sorriso si fa amaro. A nulla è servito il pandemonio mediatico scoppiato l'anno scorso in Germania che aveva portato la Chiesa sul punto di vendere la casa editrice in nome di di una sacrosanta liberazione dalle “scandalose” attività. Per poi nel giro di un anno far cadere tutto nel dimenticatoio e rimangiarsi la parola. C'è stata solo una novità: le partecipazioni azionarie del gruppo Weltbild sono state tutte trasferite in una fondazione. Sempre in mano alla Chiesa. Ma con la crisi galoppante il clero non ha saputo rinunciare al business. D'altronde si parla di cifre importanti. L’anno scorso l’azienda ha avuto un fatturato di un miliardo e seicento milioni di euro. Questa volta siamo noi ad invocare una preghiera: un po' di coerenza. La crisi, anche per quest'anno, può aspettare. Sia benedetta la Weltbild.