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sabato 5 maggio 2012

Consumo ergo sono felice?

Consumismo, shopping, corse sfrenate alla ricerca dell'affare perfetto. Consumismo sinonimo di integralismo religioso. Non si può consumare. Si deve consumare. Nei centri commerciali eletti a luogo di culto, nell'intimità delle mura domestiche con un semplice clic, in ufficio, davanti alla tv. Davanti ai nostri occhi una cornucopia di beni e servizi: tutto quello che occorre è a portata di mano. Basta una telefonata, un sms, una pressione di un tasto e il numero della carta di credito. E il gioco è fatto. Insomma consumo sempre, solo e comunque. Ogni giorno, ogni ora senza limiti e restrizioni. Il tempo è imploso di pari passo con lo spazio ed ecco svelato il consumatore in tutta la sua nudità. Spogliato delle relazioni sociali sempre meno intense e spogliato dei guadagni. La pubblicità ha fatto tanto in tal senso ma la nostra passività, l'essere in completa balia di fronte al marketing ci ha portato alla deriva. Una domanda sorge spontanea: tutto ciò che compriamo è davvero indispensabile? O è un fastidioso e inutile orpello figlio del nostro  sfrenato desiderio di consumare e di avere tutto e subito? L'erba del vicino è sempre più verde. La voglia di emulare attraverso gli strumenti di consumo è ancora più verde. Eccoci così proiettati in una società che si avvale della velocità per soddisfare la nostra inguaribile sete di spese. Inoltre cadiamo ogni giorno nel tranello teso abilmente dalle cattedrali del consumo. La perdita del senso del tempo e dello spazio è costante: centri commerciali sempre più illuminati artificialmente e senza riferimenti dell'esterno, orologi vietati in determinati casinò, entrate dei centri commerciali ben visibili mentre le uscite appaiono indicate con meno precisione e frequenza. L'alterazione o l' eliminazione dello scorrere del tempo ci stordisce, ci rende più vulnerabili di fronte alle infinite possibilità di acquisto. I nuovi strumenti non sarebbero, però, possibili senza le innumerevoli innovazioni tecnologiche degli ultimi cinquant'anni. La Toys'R Us ha ben saputo coniugare il mutamento tecnologico alle esigenze dei più piccoli; a questi ultimi, all'interno delle loro catene di giocattoli, viene consegnato uno scanner manuale che, passato sui giocattoli di loro interesse, realizza una lista delle preferenze di ciascun bambino. Un'anagrafe computerizzata. Per la gioia di mamma e papà. Il tutto è amplificato e semplificato da un crescente uso delle carte di credito che ci fanno perdere la reale dimensione di quanto stiamo spendendo e di cosa stiamo acquistando. L'immediata conseguenza non può essere altro che un indebitamento. L'iperconsumismo non si accontenta più di spillarci i soldi dei risparmi di una vita, o dell'ultimo stipendio. No. Va oltre. E' interessato ai guadagni futuri. Ai nostri guadagni futuri. L'implicazione più importante è che noi tutti stiamo cadendo nel buco nero del consumo. Ci stiamo facendo adescare. Senza se e senza ma. Ma la vera questione è un'altra: la soddisfazione nell'acquisto di un bene o servizio è pressoché effimera. Mutevole e assolutamente pronta a rinascere in vista della novità di turno per poi morire poco dopo. Consumo ergo sono felice? No, certamente no. Le nostre soddisfazioni vanno ricercate altrove: nella famiglia, nel lavoro, nei regni naturali non mercificati. Valori di un passato che, forse, irrimediabilmente non c'è più. L'accezione è un'altra. Consumo ergo sono in mutande. Tristemente in mutande.

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