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lunedì 6 agosto 2012

La guerra dietro casa


11 ottobre 2011 -  Fincantieri
E’ così che va, perché è così che deve andare. Sei lì, che fai la tua marcia quotidiana, verso il tuo quotidiano mucchietto d’impegni, sommersa dalla tua quotidiana dose di pensieri e poi: bum!
La guerra.
Ma non quella delle barricate, dei carri armati, delle bombe più o meno intelligenti. No.
Bum! La guerra quella del lavoro. Per il lavoro. Per la propria casa, il proprio mutuo, la propria famiglia. La guerra di una società che sempre meno e sempre in meno arriva a fine mese e riesce a parlare di futuro. Se quello che descrive almeno uno degli aspetti di una guerra è la preoccupazione e la difesa della propria vita, l’istinto primordiale di autoconservazione, allora sì: questa è una guerra.
Solo che scoppia ad un metro da te. E’ così dannatamente reale che non puoi più far finta d’aver letto e scordato la notizia, o visto e sentito il servizio in TV e poi cambiato canale. No, puoi solo, anzi devi, continuare a camminare, attraversare la tua quotidiana strada, tra una folla di operai dei quali, anche se in silenzio, riesci a sentire la disperazione, lucida e profonda che respiri assieme al fumo nero, quasi corporeo, di due bidoni della spazzatura in fiamme che bruciano in mezzo all’asfalto.
2 agosto 2012 - ILVA
E’ così che va, perché è così che deve andare. Sei lì, che fai la tua marcia quotidiana, verso il tuo quotidiano mucchietto d’impegni, sommersa dalla tua quotidiana dose di pensieri e poi: bum!
La guerra.
E ci risiamo, pensi! Ma sbagli: perché la verità non è che “ci risiamo”. La verità è “ci siamo sempre dentro, non ci siamo mai mossi di lì, stiamo solo continuando a sprofondare”.
Un giorno sono i cantieri, il giorno dopo sono i dipendenti delle mense aziendali, poi i precari della scuola, poi i ragazzi orfani di una prospettiva di lavoro perché vivono in un paese senza crescita, poi sono quelli della centrale del latte, poi 20000 persone  a livello nazionale del settore siderurgico del gruppo Riva.
E poi? Poi toccherà a me, o se mi va di lusso, al mio vicino di casa.
L’aria è tesa, la rabbia palpabile, così pure gli immancabili fumogeni. Tutto tranquillo. Il corteo sfila attraverso la città. Anche questa volta gli abitanti li senti vicini. Chi non cammina affianco a te, ti guarda comunque dalle finestre: in una galleria di sguardi dal preoccupato al solidale. Il sequestro degli stabilimenti per motivi ambientali e sanitari, arrivato proprio in queste settimane, sembra l’ennesima beffa.
Lavoro o salute? Bum!
Ma non è così: i lavoratori che rivendicano il loro posto di lavoro non sono dei masochisti: la domanda è mal posta. Non c’è, ne ci deve essere un aut aut tra due diritti fondamentali, come quello al lavoro e quello alla salute. Le due cose devono coesistere. Dovrebbero coesistere almeno. Da sempre, per giunta.
C’è chi urla. Chi scuote la testa. Tanta gente comune che china il capo e sotto un’afa indescrivibile continua a stazionare nel corteo. Questo paese le gambe ce l’ha. Deve solo creare i modi e gli spazi per farle camminare. Che ci sia bisogno di cambiare, modificare, migliorare le aziende preesistenti, e di crearne di nuove è evidentemente un’esigenza non più rimandabile. Ma la strada dovrebbe essere quella della crescita, dell’apertura. Ed invece ti ritrovi a marciare di fianco a “tagli”, “esuberi”, “esodati”, “cassaintegrati”, “disoccupati”. Sempre di più. Sempre più spesso.
C’è chi dice che urlare non serve a niente. Però se l’unica certezza che hai è quella di non essere ascoltato, che fai? Sussurri?
Nelle piazze, per le strade. Si. Bum!
E’ proprio una guerra. E come tutte le guerra, più che vinti e vincitori, riesci solo a vedere vittime.
(Cvd)

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