Quante volte abbiamo
dovuto ascoltare, senza voler ribattere, più per quieto vivere che
per disinteresse, descrizioni stereotipate sulle altre culture?
Questi nel loro paese si spostano sui cammelli, puntano tutto
sull'agricoltura, non sanno cos'è un personal computer, non sono
civili, sono arretrati e così via. L'ostentata sicurezza con cui si
eleva la cultura occidentale, considerata sinonimo di
modernizzazione, è decisamente presuntuosa e inopportuna. Un
excursus storico delle relazioni internazionali permette
un'analisi più approfondita dell'argomento. In questo senso è utile
il contributo di Samuel P. Huntington, celebre e discusso politologo
statunitense, e del suo libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo
ordine mondiale.
La modernizzazzione non
coincide affatto con l'occidentalizzazione, intesa come
l'assimilazione di istituzioni, consuetudini e credenze tipiche del
nostro mondo: l'eredità classica, il cristianesimo, le lingue
europee, la separazione tra autorità spirituale e temporale, lo
stato di diritto, il pluralismo sociale, i corpi rappresentativi e
l'individualismo. La modernizzazione ha travolto l'Occidente, subendo
un'accelerata dalla rivoluzione industriale in poi. La domanda è
molto semplice: qualora i paesi non occidentali intendano percorrere
la via della modernizzazione devono passare
dall'occidentalizzazione?
Huntington propone una
distinzione sulle reazioni dei paesi extra-europei all'Occidente,
considerando distintamente occidentalizzazione e modernizzazione. La
prima via è il rifiuto totale di entrambi i processi; la
seconda è il cosiddetto kemalismo, ossia l'accoglienza di
entrambi, rinunciando alla cultura del singolo paese; la terza
soluzione è il riformismo, cioè il rifiuto
dell'occidentalizzazione e l'avvio della modernizzazione, in
particolare industrializzazione, urbanizzazione e istruzione. È
interessante focalizzare l'attenzione sul kemalismo,
che prende il nome da Mustafa Kemal Atatürk.
Egli trasformò con la forza il califfato di Turchia in una
repubblica, attraverso l'annullamento della cultura autoctona e
sostituendola con la cultura occidentale. Il cambiamento riguardò
più il costume che la politica. Kemal Atatürk
isitituì il suffragio universale, il calendario gregoriano,
l'alfabeto latino, laicizzò lo stato e proibì l'uso del fez.
L'obiettivo era l'integrazione della Turchia con l'Occidente e tale
progetto fu perseguito dai governi successivi. Il fine ultimo era
l'accesso all'Unione Europea, dopo aver ottenuto il passepartout per
il Palazzo di Vetro nel 1952. Ma Ankara ricevette soltanto un
simpatico "ripassi la prossima volta". Tradita
dall'occidente e traditrice della cultura musulmana (quella da cui
era fuggita e che era la causa principale del rifiuto da parte
dell'Ue, incapace di accettare uno stato islamico nel Vecchio
Continente), la Turchia si trovò nel buio, scorgendo un bagliore di
luce nella possibilità di allacciare rapporti con le repubbliche ex
sovietiche centro asiatiche. In poche parole si è ritrovata sola alla
fermata dell'autobus.
L'occidentalizzazione
è davvero l'unica soluzione? Gli esempi di Cina e India potrebbero
smentire questa ipotesi. Esse hanno intrapreso la terza strada
illustrata da Huntington, quella del riformismo. E verrebbe da
dire con successo, dati alla mano. Se un governo decide di cambiare
la cultura di un'intera nazione da un giorno all'altro, deve
comprendere quanti sacrifici si debbano addossare le persone comuni.
Dimenticare la lingua, la religione, la cucina, le attività. La vita
così com'era fino al giorno prima. Come se non bastasse, questo
processo potrebbe anche degenerare se giudicato fallimentare nel
lungo periodo. A quel punto l'esigenza di un ritorno alle origini
potrebbe sfociare in un'azione violenta volta a cambiare il sistema,
con gruppi disposti a pagare prezzi altissimi. Ed è quello che è
successo in Turchia. Sono nati gruppi politici e militari, entrambi
legati al fondamentalismo islamico, che hanno cercato di scardinare
la porta che Kemal Atatürk aveva chiuso definitivamente: quella
della cultura di un popolo irrimediabilmente legato a una religione,
grazie al quale gli permetteva di avere una maggiore consapevolezza
del concetto di esistenza. Dobbiamo davvero arrivare a questo?
Fonte:
Samuel P. Huntington, Lo
scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale,
Garzanti, Milano, 1997.
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